mercoledì 13 febbraio 2013

Inverno


 contemplare la volta celeste nelle notti estive è un dolce perdersi. 
Contemplare quella invernale quando il cielo è libero da ogni affanno,
è un estatico confondersi: gli astri appaiono più vicini, più scintillanti, più vivi
e il gelido che serpeggia nell’aria nulla scuote come se ignorasse la mia presenza. 

Non è così: sono l’anima e la mente ad essere rapite da tanto fascino e mistero: una è colma di sentimento e si dona, l’altra è piena di immaginazione e si lascia trasportare...

 Nel tacito silenzio della notte una fredda solitudine mi afferra: con estrema fatica dirado le uggiose nebbie che ricoprono l’anima umana e mi ritrovo solo ad ammirare con ingenuo stupore l’universo mentre inquietanti interrogativi sul mistero della vita e sul destino del mondo mi assalgono. La mia tristezza sotto una volta di tremolanti stelle diviene la tristezza dell’umanità: voce che sale verso cieli infiniti, nella vana ricerca di capire il perché del tutto e di trovare l’esoterica verità che lo agita. Desiderio di limitare indefiniti spazi, di scoprire l’eterna via del tempo e di comprenderne l'inesorabile equità. Soltanto allora mi consolo, abbandonandomi nella quiete di una pace immensa. Soltanto allora comprendo gli affanni dell’uomo, l’angusto smarrimento, l’angosciante bisogno del suo cuore di amare ed essere amato.

È come sentirsi immobili, sospesi s'una sottile lastra di ghiaccio di un gelido inverno, mentre silenziosi batuffoli di neve scendono sul capo fino a ricoprirlo. Sei uno dei tanti alberi dormienti di una palude sommersa nel fango in un artico inverno. Anima che dormi sull’alboreo guanciale di lacrime ricoperte d’un fragile velo di sogni. Sai che nessun passo, nuovo e incerto, ti potrà dare la certezza di una mano che guida stringendo la tua. Mentre vorresti vedere quella tenera mano venirti incontro e afferrarla. Ma senti soltanto un’aria secca e pungente avvolgersi come diafana nube intorno a te; or’altro non è. Chini il capo e chiudi gli occhi nel dolce abbandono di mille inganni passati. E una lacrima scende fra le rughe increspate di un gelido inverno; altro non è. 


  All'Inverno di Vivaldi dedico questi semplici versi:


un gelido inverno
or’altro non è

e a volte
un pensiero senza vita mi coglie
scende giù dalla stessa via
corre mai s’affanna il suo respiro

ha zittito la natura
l’artico di quest’inverno

soltanto passeri e capinere
stridono in volo
d’una stanza stride la porta
stenta ad aprirsi

quante poche volte si è aperta
eppure non ha chiavi o serrature
soltanto due parole rinchiuse
tumulate come anime oscure

troppo gelido quest’inverno
nella mente un secco deserto

aria che punge
soffre la solitudine
e cade il silenzio
come cade la neve

d’incanto svaniscono orme
sepolte sotto fragile fango
di questo gelido inverno
or’altro ancora non è
 
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