mercoledì 23 aprile 2014

Ciajkovskij .P.I & Nadieshda Filaretovna von Meck (parte seconda)

Pyotr Ilyich Ciajkovskij 
 Nadieshda Filaretovna von Meck

L’epistolario
(quando la lettera scritta sostituisce il suono della parola e unisce due anime)


Mosca, 17 ottobre 1877
"La sola lettera che mi ha procurato una gioia ineffabile, caro, prezioso amico!... (in risposta a quella scritta da Peter il 5 ottobre durante il soggiorno a Clarens – Svizzera; soggiorno deciso col fratello Modest per restare lontano da un rapporto matrimoniale ormai compromesso definitivamente, dove lamenta l’impossibilità di continuare a vivere a fianco di una donna che non ama, di quanto il suo spirito sia in condizioni terribili e della ristrettezza economica che lo affligge)... Rientrando a Mosca ero rimasta molto turbata dalla notizia della Sua partenza poiché non riuscivo a spiegarmene i motivi e non potevo comprendere come mai non avessi saputo prima di tutta la faccenda. Ora so tutto, povero amico mio, e per quanto il mio cuore sia dolorosamente colpito per quel che lei ha dovuto soffrire e che è venuto a rovinare la sua vita, sono tuttavia lieta che ella abbia compiuto questo passo decisivo, inevitabile, il solo giusto in una tale situazione. Non avevo osato dirle apertamente la mia opinione, poiché lei avrebbe potuto giudicarla un’invadenza da parte mia. Ripeto: sono lieta che ella abbia trovato una via d’uscita da un tale mondo di ipocrisia e di delusione che non è degno di lei. Ella ha fatto per un’altra creatura tutto quello che si può immaginare, ha lottato fino all’estremo, ma non ha ottenuto nulla; la gente come lei, infatti, in una situazione simile, può andare a picco, ma non certo addattarsi…Per quanto riguarda la disposizione dell’animo mio verso di lei, mio Dio, come ha potuto Peter Iljic, pensare, anche per un solo istante, che io l’avrei disprezzata? Proprio io, che per tutto quanto è accaduto, non solo ho comprensione, ma sento esattamente come lei e avrei agito proprio nello stesso modo? Soltanto che, al suo posto, io mi sarei probabilmente decisa prima ad una separazione, poiché non sono capace di tanto spirito di sacrificio. E ancora una cosa, Peter Iljic caro, perché mi affligge e mi ferisce col lasciarsi così sopraffare dalle difficoltà economiche? Non ci sono dunque io? Lei sa pure come io l’apprezzi e le desideri ogni bene. Sono del parere che non siano i vincoli del sangue o i legami fisici a darci diritti sui nostri simili, ma unicamente i sentimenti e le affinità spirituali.
Lei sa benissimo di quante ore di felicità io le sia debitrice, come gliene sia infinitamente grata, come lei mi sia indispensabile, e proprio così com’è, come Iddio l’ha creato. Non faccio dunque nulla per lei, ma tutto per me stessa…Se oggi fossi io a voler qualcosa da lei, certamente non me lo rifiuterebbe, nevvero? Dunque siamo pari. Lasci allora che per qualche tempo io mi incarichi di sistemare la sue faccende domestiche.
Non so come la pensi lei a questo proposito, quanto a me preferirei che gli altri non fossero al corrente di questa nostra amicizia.”
 
Con grande generosità, la signora Nadjesdha von Meck, elimina ogni sua preoccupazione per la vita materiale assegnandogli una rendita annua di seimila rubli. L’animo di Peter, per quanto sofferente per i sensi di colpa causati da un matrimonio fallito in partenza, trabocca di sentimenti di gratitudine verso la sua protettrice e il giorno dopo risponde: 
“Prima di conoscerla, non sapevo che esistessero creature dotate di tale finezza d’animo, di tale profondità di sentire. Per me è sorprendente che cosa ella fa per me e come lo fa…Ogni nota che d’ora in poi uscirà dal mio cervello, sarà dedicata a lei. A lei io devo se la voglia di lavorare mi ritornerà con raddoppiata energia e mai, mai, lavorando, dimenticherò neppure per un secondo che è stata lei ad aiutarmi a continuare la mia professione d’artista. Molto mi resta ancora da fare, lo so benissimo. Senza falsa modestia, vorrei dirle che tutto quanto ho prodotto finora mi sembra così incompiuto, così debole in confronto con ciò che io posso e debbo creare ancora. Arriverò a questo…
Mi vado lentamente rimettendo al lavoro e posso adesso dire con esattezza che la nostra Sinfonia sarà terminata non oltre dicembre e che lei la potrà ascoltare già nel corso di quest’inverno. Che questa musica, a lei così intimamente legata nello spirito, le posso dire, mia ottima, impareggiabile amica, come io l’amo con tutte le forze dell’anima mia”
 
Nadjesdha Filaretnova von Meck

Nadjesdha von Meck, figlia di un possidente russo, ha nove anni più di Ciaikovskji. A diciotto va in sposa a Karl Georg von Meck, nobiluomo baltico, i cui antenati erano stati un tempo i signori del feudo di Sunzel, nelle vicinanze di Riga. Il giovane Karl Georg non aveva però ereditato alcun bene e al momento del suo matrimonio occupava un modesto impiego come ingegnere. La giovane coppia dovette sostenere una dura lotta contro le difficoltà della vita.
 
“ Non sono sempre stata ricca – scrive Nadjesdha Filaretnova in una lettera a Peter . – Per gran parte della mia esistenza mi son trovata povera, poverissima. Mio marito era ingegnere delle comunicazioni alle dipendenze dello Stato, guadagnava millecinquecento rubli all’anno, e queste entrate dovevano bastare per mantenere una famiglia con cinque figli. Situazione assai poco brillante, come vede. Ero allo stesso tempo la balia, la governante, la maestra, la sarta dei miei bambini e la cameriera e la segretaria di mio marito. Il lavoro era molto, ma lo facevo volentieri.
Ben altro mi affliggeva. Sa lei, Peter Iljic, che cosa significa avere un impiego? Lo sa che si deve dimenticare di essere individui dotati di ragione, di volontà propria, di dignità? Che bisogna essere automi burattini? Non potevo sopportare che mio marito si trovasse in una situazione simile e perciò non cessavo di insistere e di pregarlo perché lasciasse quel posto. All’obiezione che non avremmo più avuto niente da mangiare, replicavo che avremmo lavorato e che di fame non saremmo morti. Quando finalmente cedette alle mie preghiere, venimmo ben presto a trovarci in grandi difficoltà, tanto che per il nostro sostentamento non potevamo spender di più di venti copechi al giorno. Eppure non rimpiansi mai quella nostra decisione.”
 
È l’epoca in cui in Russia si costruivano strade e ferrovie in quantità; agli imprenditori accorti si offrivano possibilità enormi. Progetti e stanziamenti son fatti senza economia. Trattandosi di collegare con una ferrovia le due capitali, Mosca e Pietroburgo, si chiede allo zar Nicola I di esprimere i suoi desideri. Il sovrano si fa dare allora una carta e una riga e con la matita congiunge le due città con una linea retta. La strada ferrata viene infatti costruita secondo quella direttiva, lunga quasi settecento chilometri, senza curve, senza riguardo per gli ostacoli naturali, tale quale corre ancor oggi fra le due città maggiori della Russia. Karl von Meck è un abile ingegnere. Pungolato dalla volontà prepotente della moglie, compie imprese straordinarie e lega il suo nome a parecchie ferrovie di grande importanza. Non è però tagliato per gli affari e lascia quindi che la moglie si occupi della parte commerciale delle sue imprese. Quando muore nel 1876, dopo ventotto’anni di matrimonio, lascia in eredità alla consorte undici figli e un patrimonio di molti milioni. Nadjesdha si trova ad affrontare un compito gigantesco con che assolve con molta energia e intelligenza. L’ultimogenito viene al mondo nel 1877. Ciakovskji appare all’orizzonte proprio nel momento in cui muore il marito di Nadjesdha, che si ritira allora dalla vita di società quasi in modo assoluto e si dedica all’educazione dei figli, sette dei quali vivono ancora sotto il suo tetto, mentre gli altri sono in gran parte sposati. Nadjesdha von Meck, ormai diventata la più ricca signora di Mosca, abita in un severo palazzo di ben cinquantadue stanze. La casa è arredata col gusto sovraccarico del tempo: ovunque arazzi e tappeti finemente lavorati e mazzi di fiori sotto campane di vetro. Il carattere e lo spirito di Nadjesdha sono rivolti per natura verso il bello e la bellezza artistica. Un impiego stabile e molto apprezzato vi trovano i musicisti, che suonano insieme duetti e trii con l’amabile padrona di casa (pianista eccellente) e che danno lezioni di musica ai ragazzi. Avremo occasione di parlare di come il giovane Debussy farà la sua comparsa nella cerchia della signora von Meck, per suonare con lei a quattro mani e insegnare il canto alla figlia Julia.
La signora Nadjesdha possiede inoltre alcune splendide tenute in campagna, fra tutte, la più bella è quella di Brailov, in Ucraina. La salute di lei non è eccellente, il freddo soprattutto le riesce insopportabile e la spinge sovente in viaggi al sud e molti all’estero. Con passare degli anni la sua misantropia aumenta. Nicolai Rubinstein, il signore della vita musicale moscovita, è una delle rare persone che di quando in quando può andare a farle visita. Non di rado egli ha bisogno di sovvenzioni per il suo Conservatorio ed ella allarga generosamente i cordoni della borsa. Ai concerti e a teatro se ne sta in disparte in fondo a un palco ed evita di parlare con qualcuno. Di lei si conosce l’alta figura slanciata, gli occhi espressivi scuri, la folta chioma castana. Come molte donne russe, è capricciosa, mentre la natura interiore molto sensibile, la rende a volte irresponsabile nei grandi gesti di generosità che fa da contorno a una passionalità irruente. Si strugge dal desiderio di trovare anime su cui riversare affetto, sospinta inconsciamente nel desiderio di riceverne. Adora i figli e nasconde la preferenza che ha per alcuni di essi. Quand’ecco, al suo orizzonte apparire Ciaikovskji che ha allora trentasette anni.
Ho riassunto i lati più incisivi di questa donna straordinaria, dall’anima sensibile e dallo spirito nobile, che protende verso le grazie del bello artistico, confermato da una delle tante lettere scritte a Peter:
 
“Amo la musica appassionatamente, - scrive in una di queste – quando ascolto musica, non penso a nulla e provo una sensazione di benessere fisico…La musica mi fa sprofondare in uno stato di ebbrezza come un bicchiere di Sherry. Ci si sente trasportati in un luogo sconosciuto, misterioso, in un regno celeste. In tale stato si sarebbe pronti a morire. Recentemente suonavo l’andante cantabile, dal suo Primo Quartetto per archi. Tale musica mi mise in uno stato di ebbrezza così intensa che un brivido mi corse per tutto il corpo…Credo che nessuno avverta l’infinita malinconia espressa da quelle note. È una musica che mi lascia senza fiato. Che arte soprannaturale! In essa soltanto si manifesta la scintilla divina della umana natura”. 
Il maestro prontamente risponde all’amica:
“Lavoro assiduamente all’istrumentazione della nostra sinfonia, (oggi chiamata, Quarta Sinfonia - aggiunta doverosa per chi legge)  e sono completamente assorto in questo lavoro. Nessuna delle mie composizioni orchestrali mi è costata tanta fatica, ma a nessuna anche ho lavorato con tanto amore. Dal principio ero spinto soltanto dal desiderio di finire la Sinfonia; poi, a poco a poco, mi sono lasciato avvincere e adesso non vorrei mai stancarmi del lavoro. Forse mi inganno, mia cara Nadjesdha Filaretnova, eppure credo che questa sinfonia non sia un’opera mediocre; è meglio di tutto quel che ho scritto finora. Com’è consolante per me, il pensiero che questa sia proprio la nostra Sinfonia e che lei, quando finalmente l’avrà ascoltata, sappia come ad ogni battuta io abbia pensato a lei. L’avrei mai portata a termine se ella non fosse entrata nella mia vita? A Mosca, quando credevo che tutto, per me, fosse finito, avevo scritto sullo schizzo le seguenti parole, dimenticate e poi ritrovate ora:”In caso di morte questi fogli devono essere consegnati a N.F. von Meck”. Desideravo sapere nelle sue mani il manoscritto della mia ultima opera. Invece, adesso, non soltanto vivo e sto bene, ma posso, grazie alle sue cure, dedicarmi interamente al lavoro con la coscienza che al mio cervello scaturisce una musica che non sarà mai dimenticata.”
  
La “Quarta sinfonia”

Quando un’affinità apre l’anima e il cuore

Per Peter, quella di scrivere quasi ogni giorno alla sua preziosa amica e di aprirle il cuore diventa una cara consuetudine che influisce positivamente anche sul suo fragile spirito. Non muove più un passo senza chiederle prima consiglio e approvazione. Tale comunione di anime dona a Nadjesdha una vera ebbrezza di felicità, un vero stato di beatitudine, ma anche di totale eccitazione.
Di questa sinfonia scriverò nella terza parte [...]

Oggi invece, vi lascerò con l’ascolto di quello che è ricordato come uno dei concerti per violino più discusso e criticato del suo tempo: il concerto per violino e orchestra opera nr35 in re maggiore. Opera biasimata e demolita dal famigerato critico musicale del momento Eduard Hanslich, della Neue Freie Press di Vienna, che già aveva perseguitato Richard Wagner e Anton Bruckner con le sue recensioni feroci. Dopo la prima al teatro di Vienna aggiunge una nuova gemma alle precedenti dichiarando che il concerto per violino di Ciaikovskji, altro non è che “musica puzzolente”.
Il nostro sensibile compositore porterà con sé la feroce critica di Hanslich, rimanendo profondamente offeso per vari anni. Ma un critico, per quanto bravo possa essere non fa sempre la storia, tanto che il concerto per violino opera nr 35 in re maggiore, diventerà ben presto il pezzo favorito e amato di molti violinisti. Più tardi anche il grande Leopold Auer, che a suo tempo si rifiutò di eseguirlo, ne fu conquistato e lo suonò ripetutamente.

Questo meraviglioso concerto per violino, Ciaikovskji lo porta a termine in un paio di settimane nel marzo del 1878 durante la permanenza a Clarens, Svizzera, e resterà per sempre una delle sue composizioni predilette. Dopo il rifiuto per le difficoltà tecniche di esecuzione da parte di Iosif Kotek e di Leopold Auer, i maggiori violinisti del periodo, il concerto viene eseguito tra mille difficoltà dal giovane Alexandr Brodskji, che trova il coraggio di suonarlo a Vienna tre anni dopo, il 4 dicembre 1881.
Nadjesdha Filaretnova dopo il primo ascolto a Mosca, lo porterà per tutta la vita nel suo cuore: in esso lei vi percepirà sempre il riflesso continuo del suo temperamento passionale e allo stesso tempo il respiro delicato della sua anima, dove i sentimenti dell’amore per il suo amico prediletto, non espressi nella loro totalità, troveranno il vertice più elevato nelle quiete e agitate acque del suo mondo interiore.

..fra le varie esecuzioni di valenti artisti, ho scelto questo trailer dal film - Il concerto - del regista rumeno Radu Mihaileanu, per aver creato con spiccata fantasia e immaginazione, una sceneggiatura ironica e allo stesso tempo commovente che s’intreccia magicamente col il concerto, qui il 1° movimento -allegro moderato- che darà poi il titolo al film, che consiglio di vedere a chi non lo avesse ancora visto…

 
Per chi fosse interessato alla parte prima può cliccare: QUI

domenica 6 aprile 2014

Ciajkovskij .P.I & Nadieshda Filaretovna von Meck (parte prima)

Pyotr Ilyich Ciajkovskij 
 Nadieshda Filaretovna von Meck

L’epistolario
(quando la lettera scritta sostituisce il suono della parola e unisce due anime)

Nadieshda Filaretovna von Meck 1875
“Sa mio caro Peter Iljic (lettera del 22 gennaio 1878), da gran tempo questa nostra non comune simpatia reciproca, questa concordanza di idee davvero incredibile, quale si rivela in ciascuna delle nostre lettere, mi riempie l’animo di stupore. Una simile affinità di nature è rara anche fra parenti strettissimi. Oh Dio, com’è bello avere almeno una persona al mondo alla quale ci si possa confidare! In questo stato di felice abbandono come tutto, anche il male, diventa tollerabile e non impedisce di sentirsi contenti...Ha mai amato lei, Peter Iljic? Ne dubito. Ama troppo la musica per poter amare una donna. So di un episodio amoroso della sua vita, (riferimento alla cantante Désirée Artot - aggiunta personale non presente nella lettera) ma credo che il cosiddetto amore platonico (Platone del resto non ha affatto amato in tal modo), sia soltanto amore a metà; unicamente amore della fantasia, non del cuore; non quel sentimento che investe corpo e sangue dell’uomo, che solo lo mette in grado di vivere.”
P.I.Ciajkovskji -Mosca 1876- 
“Lei mi chiede, cara amica, se io conosco l’amore terreno. Sì e no. Se si volesse porre la domanda altrimenti e chiedere se nell’amore ho trovato la pienezza della felicità, allora dovrei rispondere: no, no, no, tre volte no!!! Credo del resto che anche la mia musica dia una risposta a questa domanda. Ma quando lei mi chiede se conosco tutta la pienezza, tutta la forza inesauribile dell’amore, allora debbo rispondere: sì, sì, sì, tre volte sì! Ripeto che ho più volte tentato di esprimere nella mia musica il tormento e la beatitudine dell’amore. Se questo mi sia riuscito, non lo so, lo devono giudicare gli altri. Non sono però del suo parere su un punto, quello che la musica non sia capace di rendere la forza universale dell’amore. Al contrario, la musica soltanto può farlo. Lei dice che questo può avvenire soltanto attraverso le parole. Oh no! Proprio per questo non occorrono parole. Laddove esse vengono a mancare subentra in tutta la sua pienezza un linguaggio più eloquente: la musica. Anche il discorso ritmico, ossia della poesia, con la quale i poeti glorificano l’amore, non è altro che un addentrarsi nel dominio riservato alla musica. Non appena le parole prendono forma di poesia, non sono più soltanto tali, si sono già trasformate in musica. La miglior prova che la poesia in glorificazione dell’amore sono assai più musica che semplici parole la trovo nel fatto che, molto spesso, tali poesie non hanno un senso immediatamente afferrabile (penso a Fet,- poeta russo - un mio prediletto). Invece, al contrario di quanto sembrerebbe, versi di quel genere non soltanto hanno un significato, ma racchiudono pensieri profondi, di natura però puramente musicale [...]”

Peter Ilich Ciajkovskij, terzo di sette figli nasce a Votkinsk nel 1840, da  Aleksandra Andreevna d'Assier, di nobili origini francesi ma nata a San Pietroburgo; donna mite e riservata, amante dell’opera lirica e sinfonica, nonché discreta pianista, educa subito Peter alla musica; il padre, Ilja Petrovic è ingegnere e dirige una miniera a Votkinsk nel governatorato di Vjatka, non lontano dagli Urali, dove Peter viene al mondo. I genitori hanno idee diverse sull’avvenire del terzo figlio, la madre sogna per Peter il palcoscenico musicale, quando il padre invece lo indirizza agli studi di giurisprudenza.
Dopo i corsi superiori di diritto, equivalenti alla nostra università, Peter entra nella carriera degli impieghi governativi, ma coltiva intanto la musica con maestri del conservatorio di Pietroburgo: Nikolaj Ivanovič Zaremba per la composizione, lo Stiehl per l’organo, A.Rubinstein, fondatore dello stesso conservatorio nonché pianista di fama internazionale, per il pianoforte e infine, il nostro grande C.Ciardi per il flauto.
Dopo aver conseguito il diploma musicale con alto merito, lascia definitivamente l’impiego statale per quello che sarà per sempre, nel bene e nel male, il destino della sua vita: la musica. A spingerlo verso questa definitiva decisione, è l’amore appassionato che egli nutre da sempre verso le opere di quello che lui considera essere quasi un dio, soprattutto a causa del Don Giovanni: W.A.Mozart. Quest’opera lo accompagnerà dai primi anni della giovinezza fino all’ultimo periodo della sua attività musicale e rappresenterà per lui il vertice di ogni forma creativa.
Nel 1866, con l’aiuto dell’allora direttore Nicolaj Rubinstein, fratello minore di Anton, viene nominato professore d’armonia al conservatorio di Mosca, posto che tiene soltanto fino al 1877, anno della crisi per un matrimonio fallito e della svolta per la conoscenza virtuale di una nobildonna moscovita: Nadieshda Filaretovna von Meck; pur ottenendo elogi e riconoscimenti per alcune opere musicali, come il concerto per piano nr1 in Sib minore, la carriera di docente non soddisfa il carattere inquieto del maestro, anzi lo deprime, e a questo fa da corollario una vita privata poco esaltante che si può riassumere in un matrimonio infelice rotto a distanza di pochi mesi, alle condizioni finanziarie assai disagiate e, più di tutto, la tendenza innata alla malinconia, che lo rendono amaro, sdegnoso e malato di nervi: situazione precaria sia fisica che psicologica, che cerca di distrarre con viaggi in Svizzera e in Italia, senza ottenere un concreto beneficio.
“Sono molto cambiato, da quando ci vedemmo l’ultima volta, - scrive ad un amico dopo circa dieci anni di soggiorno a Mosca. – non c’è più nemmeno la traccia del mio umore allegro di un tempo, quando ero sempre in vena di fare scherzi. La mia vita è ora orrendamente monotona e vuota: comincio a pensare seriamente al matrimonio. L’unica cosa che sopravviva inalterata in me è il piacere che provo a comporre. Così, se non fossi condannato ad incontrare ad ogni passo ostacoli continui e noiosi, per esempio le lezioni al Conservatorio che di anno in anno mi nauseano sempre più, potrei senza dubbio produrre qualcosa di notevole. Ma ahimè, sono incatenato alla scuola.”
La vera svolta a questa malevole situazione avviene per soccorso del destino:
fra gli allievi del conservatorio Ciaikovskij novera un certo Iosifovich Kotek, violinista russo (1855-1885) che ben presto diventa suo prediletto in composizione e poi amico intimo. Fra il maestro e l’allievo intercorrono quindici anni di età che non impediscono loro di aver un rapporto più che intimo fino alla morte del violinista. In questo periodo Josifovich gioca inconsapevolmente un ruolo molto importante, anzi, decisivo per la carriera musicale di Ciaikovskij: ci avviciniamo al 1877, e il trentasettenne Peter Iljic.C, si trova ancora a Mosca in qualità di insegnante di composizione al conservatorio. Fato vuole che il giovane violinista Kotek, abbia una specie d’impiego fisso presso la baronessa (titolo nobiliare acquisito) Nadjeshda Filaretovna von Meck, (1831-1894) ricchissima dama della società moscovita che nutre un amore appassionato per la musica, tanto da essere essa stessa una valente pianista. A giorni prestabiliti riceve il giovane Kotek per eseguire trascrizioni musicali per violino e pianoforte. Kotek le parla di Ciaikovskij, della triste e penosa situazione in cui egli si trova per essere un talento musicale fuori del comune. La baronessa d’indole generosa manifesta il desiderio di conoscerne le composizioni e ben presto si accende di così forte entusiasmo per quella musica piena di svolte sentimentali, da decidere di aiutare il compositore. Tramite il giovane violinista, chiede a Ciaikovskji, offrendogli un generoso compenso in rubli, di trascrivere per violino e pianoforte alcune sue composizioni. Da questo fatale preludio nasce un rapporto epistolare che nel tempo diverrà sempre più intimo e personale. Un rapporto singolare che durerà tredici anni, in cui uno non udrà mai la voce dell’altra, ma che giorno dopo giorno aprirà i cuori dei protagonisti, fino ad accendere sentimenti passionali non condivisi, nell’essere della sensibile e generosa signora. Infatti, è proprio la signora Nadjeshda a porre questa singolare condizione: mai egli dovrà fare il tentativo di conoscerla personalmente. Di buon grado il musicista acconsente al suo desiderio e i due non si scambieranno mai una sola parola.

Ecco la prima lettera: Mosca , 18 dicembre 1876
“Egregio Peter Iljic! Mi permetta di esprimerle la mia sincera gratitudine per dato così sollecito seguito alla mia richiesta. Ritengo inopportuno dirle quale senso d’incanto abbia destato in me le sue composizioni, perché ella è certamente avvezzo a ben altri omaggi e l’ammirazione di una creatura insignificante quale son io nel campo musicale, non potrà che sembrarle ridicola. Tuttavia, questa passione per la musica rappresenta per me un bene tanto prezioso che non permetto a nessuno di riderne. È tutto quanto le voglio dire, pregandola di credermi. In compagnia della sua musica, vivere diventa più facile e più piacevole”. 

Ciaikovskji, allora risponde: Mosca, 19 dicembre 1876
Egregia Nadjeshda Filaretovna!La ringrazio di cuore per le amabili e lusinghiere parole che mi ha scritto. A un musicista come me, che ha incontrato tanti insuccessi e tante delusioni, è di grande conforto sapere che esiste un piccolo numero di persone come lei, così fervidamente e sinceramente appassionate per la sua arte.”

Due mesi più tardi, facendo seguire una nuova ordinazione, la signora von Meck scrive fra l’altro:

“Le racconterei molto, moltissimo a proposito della mia fanatica ammirazione per lei, se non temessi di abusate del suo poco tempo libero. Le voglio dire soltanto che una tale passione, per quanto possa apparire insensata, mi è cara come il più sublime di tutti i sentimenti di cui sia capace la natura umana. Mi consideri pure una visionaria, una pazza forse, ma non rida di me.”

Immediatamente il musicista risponde: 

“Mi dispiace che lei non mi abbia detto tutta quanto aveva nel cuore. Le assicuro che sono profondamente toccato dai suoi sentimenti poiché anch’io provo per lei la più calda simpatia. Non sono soltanto parole: la conosco meglio di quanto forse ella non creda. Se un bel giorno si decidesse a scrivermi tutto ciò che ha da dirmi, le sarei molto grato…”
Dopo soltanto due settimane la gentile signora scrive: 

Mosca, 7 marzo 1877 

“Egregio Peter Iljic! La sua cara risposta alla mia lettera mi ha procurato una gioia quale non provavo da tempo..Eccomi ora a lei con una fervida preghiera che potrà forse sembrarle strana. Ma un individuo che come me conduce vita da eremita, viene naturalmente a trovarsi in uno stato d’animo per cui convenzioni sociali, regole di buona creanza e cose del genere sembrano concetti vuoti di senso. Non so in realtà come la pensi lei, la prego vivamente di dirmelo con franchezza e di respingere la mia istanza. Ecco che cosa vorrei: la sua fotografia. Posseggo già due suoi ritratti, ma vorrei riceverne uno proprio da lei. Mi piacerebbe ricercare sul suo volto le tracce delle ispirazioni e dei sentimenti sotto il cui influsso ella compone quelle opere capaci di rapirci in un mondo di sensazioni e di aneliti collocati al di là di quanto la natura può offrire. Quale godimento e quanta nostalgia suscita la sua musica! La prima delle sue opere orchestrali che ebbi occasione di ascoltare fu La Tempesta. È impossibile descrivere le sensazioni evocate in me da questa musica. Per giornate intere mi sentii come in preda alla febbre senza che riuscissi a liberarmi da un tale stato di eccitazione. Considero il musicista una creatura superiore e sebbene a tal riguardo abbia sofferto non poche delusioni, questa convinzione è ben radicata nel mio animo, profondamente. Come mi fui riavuta dalla prima violenta impressione suscitata in me dalla sua opera, provai l’impellente desiderio di sapere che razza di uomo fosse colui che aveva composto una tale musica. Ci fu un tempo che avrei voluto tanto conoscerla di persona, Ma ora che subisco così intensamente il suo fascino, temo un incontro. Se un giorno dovessimo per avventura conoscerci, non potrei comportarmi con lei come un estraneo, non potrei stringerle la mano senza profferir parola. Preferisco quindi pensare a lei da lontano…
Ho ancora una preghiera da rivolgerle: nella sua opera Opricniki c’è un passaggio che mi rende addirittura pazza ogniqualvolta l’ascolto. Per tale musica che esprime la sublimità della morte, mi sentirei capace di dare la vita. Se ne ha voglia, faccia con tali motivi, una marcia funebre per me, e precisamente per pianoforte a quattro mani. Se la mia richiesta dovesse però riuscirle inopportuna, sia come non detto. Mi dispiacerebbe certo, ma non ne sarei offesa. Vorrei inoltre pregarla di permettermi di omettere nelle mie lettere simili formalità come: “egregio”. Non sono di mio gusto. E prego lei di fare altrettanto nelle sue. Non rifiuterà, nevvero?”

Peter si sottomette a queste condizioni e risponde subito:
“Già la circostanza che soffriamo entrambi dello stesso male ci avvicina l’uno all’altra. Questo male si chiama misantropia…Ci fu un tempo in cui questa malattia mi faceva soffrire a tal punto da farmi perdere la ragione…Fu il lavoro a salvarmi, il lavoro che è per me necessità e godimento a un tempo.”

Quanto alla Marcia Funebre che ha ordinato, N.Filaretovna e fuori di sé dalla gioia:

“La sua Marcia è talmente splendida che mi ha fatto sprofondare in una specie di follia, in un stato in cui si dimentica tutto quanto la vita ha di amaro e di deprimente. Non è possibile descrivere quali sensazioni caotiche suscitano nel mio cuore e nella mia mente le note di quel lavoro. I miei nervi tremano, vorrei piangere, vorrei morire, anelo a un’altra vita; non a quella cui credono gli uomini, ma un’altra, superiore ed inafferrabile. Il sangue pulsa nelle tempie, il cuore batte, davanti agli occhi cala un velo nero e soltanto l’orecchio ascolta rapito le magiche note di quella musica…
Oh Dio! Com’è grande l’uomo che può donare a un altro una simile beatitudine…Com’è bella la sua Francesca da Rimini! Esiste un altro, capace di rendere meglio l’orrore dell’inferno e l’incanto dell’amore?”
Ma chi è, dunque, questa signora von Meck, chiamata dal destino a rappresentare una parte così determinante nella vita del nostro musicista? Da innamorarsi della sua musica a tal punto da diventarne, prima generosa mecenate e poi musa ispiratrice?

Nadjeshda Filaretovna von Meck

N.F.von Meck, figlia di un possidente russo, ha nove anni più di Ciaikovskji. A diciotto va sposa a Karl Georg von Meck [...]

la parte seconda sarà dedicata anche alla conoscenza di questa sensibilissima figura femminile…
...la musica non è che l'arte di adattare silenti pensieri ai suoni...

 
 ...un compositore di musica, è come 'il sognatore', generalmente considerato una persona non viva, quando è soltanto un essere assente; egli vive all'interno con una concentrazione talmente intensa di vita, che all'esterno non ne traspare più nulla...
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